Bisognava lasciar latrare i cani. È ancora notte, ma presto
taceranno.
Possiamo cominciare a dire.
Fidel è morto.
Nel 5 Maggio Alessandro Manzoni, leva la sua
voce « allo sparir di tanto
raggio ». Napoleone, nei Budenbrook anticipa i tratti hitleriani, imasscratore di un milione di egiziani, isepellitore del sogno
della fratellanza democratica della Rivoluzione.
Ma Manzoni leva la sua voce, si interroga sulla più profonda
orma che il creator suo spirito volle in lui stampare.
Sant Elena, il lungo autunno del l’Imperatore, i flutti oscuri
del ricordo.
All’orma divina tanto profonda si accompagna mesta la veglia
divina, posando accanto alla sua morte.
Il rumore dei media adesso confonde le anime, nessuna voce si leva
alta. Schiamazzo democratico.
Ma porgiamo l’orecchio al passare della generazioni. Allora
sentiremo una voce. Parla.
Fidel viene dal peccato originario dell’America, latina nella
strage degli indios. Viene dall’ultima resistenza di Netzauiacotl in Tenochitan, viene dagli uomini di mais, dai
maratoneti montanani del peyote, da Tupac Amaru, dai popoli delle foreste e delle
montagne che neppure ebbero città. Fidel viene dai criollos divisi tra dominio e
sogno, Fidel vide in sogno la Malinche, Malitzin, e comprese. Fidel viene da
Mariategui, Recabarren, dai Montoneros dalle loro lance spezzate.
Fidel.
Fidel ed Ernesto Guevara.
Si dissero addio, così naturalmente, come si erano
incontrati a Mexico nella casa di Antonia.
A Fidel restò la gestione della rivoluzione in Cuba, il Che sfuggì nel eternità del mito.
Noi non ci perderemo a ricercare errori e debolezze.
Fidel ebbe uno stato da mandare avanti e questa fu la sua banale grandezza; ma quel nodo dello statodalla Comune all’Ottobre resta irrisolto.
Fidel aveva letto l’Autunno del patriarca del suo amico
Garcia Marquez.
È morto quando comincia l’inverno.
È morto quando comincia l’inverno.
Orfeo Rosso
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